Povertà, poveri: diventano parole molto gettonate e inflazionate, sono parole usate da tutti, troppi. Non costa niente citare poveri e povertà, anzi, permette di sentirci più buoni, quasi che così ci è permesso di passare sopra tante responsabilità trascurate, ad una crescita di quella che è chiamata “globalizzazione dell’indifferenza”.
Ma la povertà la si vorrebbe controllare, custodire e governare, contenere in luoghi separati soprattutto quando si fa visibile o turba la vita normale, mostra i tratti della miseria, evidenzia il disagio e la sofferenza che esprime, si fa a volte anche pericolosa, può portare inquietudine, alimentare insicurezza e paura.
Ecco perché si privilegiano due modalità di risposta apparentemente contraddittorie, ma di fatto omogenee: assistenzialismo e aumento di risposte che vorrebbero moltiplicare i contenitori.
Occorre soprattutto cambiare mentalità e cultura; dobbiamo dire invece: de-istituzionalizzare la povertà, renderla familiare, capace di scandalizzare, di farci sentire poveri cittadini, sfidati anche dalla nostra povertà, dalla nostra sofferenza che sta nella comunità e nei territori dove viviamo.
Perché de-istituzionalizzare la povertà? Noi vorremmo catalogarla, frammentarla, quasi vivisezionarla, dimenticando che ciascuno, anche il povero è portatore di dignità e diritti, non concessi per bontà ma costitutivi ed ineliminabili.
Non si può fare per carità, ciò che si deve fare per giustizia!
Dentro la povertà ci sono donne e uomini, bambini che ci interpellano, sono parte della nostra famiglia umana.
De-istituzionalizzare la povertà significa liberare la domanda di giustizia fraterna che in essa è contenuta. Occorre de-istituzionalizzare il potere di chi aiuta, delle professioni che si difendono da questa inquietudine e urgenza, ecco perché liberarsi dall’assistenzialismo, da politiche sociali di controllo significa de-istituzionalizzare il nostro pensare, la nostra cultura.
De-istituzionalizzare la povertà significa quindi, anche sfidare un’economia finanziaria dove il divario tra ricchi sempre più ricci e poveri sempre più poveri è in aumento e questo è intollerabile.
La povertà, la sofferenza, non la si può cronicizzare, non è materia di propaganda.
Il Sindaco La Pira nel discorso del 24 settembre del 24 settembre 1954, in consiglio comunale disse: “Signori Consiglieri, io lo dichiaro con fermezza fraterna ma decisa, voi avete nei miei confronti un solo diritto, quello di negarmi la fiducia, ma non avete il diritto di dirmi, Signor Sindaco, non si interessi delle creature senza lavoro, disoccupati o licenziati, senza casa, sfrattati senza assistenza, vecchi malati e bambini. Il mio dovere fondamentale è questo, dovere che non ammette discriminazioni e che mi deriva dalla mia posizione di capo della città e quindi capo della unica e solidale famiglia cittadina e dalla mia coscienza di cristiano”.
Le politiche sociali non possono essere una parte dell’attività politica di un comune, ma devono stare al centro. Dall’urbanistica, all’edilizia, alla scuola, tutto deve convergere all’attenzione alla persona favorendo ascolto, incontro e coinvolgimento, per crescere nella conoscenza reciproca e favorire l’incontro e il dialogo.
Don Enzo Capitani
Direttore Caritas Diocesana Grosseto